febbraio 2022

 

Che il modo di intendere e di vivere la città fosse da rinnovare, lo si sapeva da tempo: il modello della cosiddetta “città delle distanze”, al cui interno ci si sposta su mezzi di trasporto pubblici e privati per andare al lavoro, a scuola, per accedere ai servizi, ai negozi e ai luoghi di svago, iniziava da tempo a dare segnali di funzionamento non ottimale. Organizzato così in nome dell’efficienza, questo tipo di modello urbanistico presenta diversi aspetti controversi: il tempo delle persone che, nel corso degli anni, finiscono per passare un numero impressionante di ore al volante o sui mezzi pubblici; l’impatto ambientale di un utilizzo così massiccio e frequente di “motori” in termini di emissioni di Co2.

La pandemia, i vari lockdown e la diffusione senza precedenti dello smart working hanno reso urgente questa revisione dei modelli urbani consolidati con lo sviluppo industriale e post-industriale. Lavorando da casa e non potendo, per lunghi periodi, muoverci come eravamo abituati, ci siamo ritrovati costretti a riscoprire i servizi e le opportunità attorno a noi. Esattamente come teorizzato nel modello della “città dei 15 minuti” messo a punto dall’urbanista colombiano Carlos Moreno e diventato piuttosto popolare negli ultimi tempi. L’assunto di base della città dei 15 minuti è che ogni individuo deve avere la possibilità di raggiungere tutti i servizi essenziali, ma anche i luoghi di svago, le aree verdi e i negozi, in pochi minuti a piedi, circa 15. Un sistema, questo, che ha moltissimi aspetti positivi:

  • permette di valorizzare e rivitalizzare i quartieri – tutti – non solo le aree centrali;
  • stimola gli spostamenti a piedi o in bicicletta;
  • incoraggia le relazioni interpersonali a differenza del modello opposto
  • è sostenibile sotto il profilo ambientale, dal momento che riduce l’inquinamento.

Negli ultimi anni, diverse amministrazioni cittadine hanno sperimentato questo modello, a partire da Parigi che, con la sindaca Anne Hidalgo ha dato vita alla “ville de quart d’heure”. A Barcellona questo tipo di organizzazione prende il nome di “superilles”, quartieri dotati di tutti i servizi replicati più volte sul territorio urbano. Volontà di agire in questo senso anche in Italia, ad esempio a Roma e Milano. Nel capoluogo lombardo una sorta di sperimentazione di vita della prossimità è quella delle social street, aree che fanno rete in ottica di condivisione, supporto e organizzazione di attività. Perché se il successo della città dei 15 minuti dipende molto dall’impostazione urbana di spazi e servizi, un ruolo fondamentale è giocato anche dal fattore umano necessario per recuperare una dimensione più autentica e partecipativa, quindi simile a quella del borgo, del villaggio. Ma su scala urbana.

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