gennaio 2024
Controversa ma a suo modo storica. È questa forse la definizione più corretta della COP28, la Conferenza delle parti sul clima delle Nazioni Unite che si è svolta dal 30 novembre al 13 dicembre a Dubai. Controversa in primis per la sede scelta, che in parte ha influenzato l’andamento dei lavori, dal momento che gli Emirati sono storicamente fra i paesi più inquinanti e meno coinvolti nella lotta al cambiamento climatico. Storica perché, nel testo finale approvato, si parla per la prima volta di porre fine all’utilizzo di petrolio e gas, oltre che carbone.
Nell’articolo 28, infatti, si fa riferimento a una “fuoriuscita dalle fonti fossili nel sistema energetico in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando l’azione in questo decennio critico, in modo da raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050 d’accordo con la scienza”. Si tratta di un traguardo meno soddisfacente di quello auspicato dall’Unione europea e da altri Paesi, che si aspettavano il “phase out”, ovvero l’impegno esplicito ad abbandonare i combustibili fossili, mentre il documento approvato parla di una più soft e graduale “transition away”. Inoltre, mancano riferimenti a un approccio differenziato alla transizione energetica, fortemente richiesto dai Paesi del Sud del mondo.
Confermata la necessità di triplicare le rinnovabili e duplicare l’efficienza energetica entro il 2030. A questo proposito, il paragrafo 30 del documento finale riconosce che il costo delle tecnologie a basse emissioni è molto diminuito negli ultimi anni grazie a innovazione ed economie di scala. Il prossimo appuntamento è per il 2024 in Azerbaigian con la COP29: in quell’occasione il focus sarà sulla finanza climatica, uno strumento cruciale per sostenere i Paesi più poveri ad affrancarsi dalla dipendenza dalle fonti fossili.